Nell’iconografia cristiana delle origini il pavone bianco era il simbolo del Cristo diventando l’emblema della morte e della resurrezione
Il pavone è sempre stato oggetto di racconti popolari, di superstizioni secondo le quali erano responsabili di disgrazie. In alcuni momenti storici è stato simbolo di peccato e di vanità, a causa della tendenza a pavoneggiarsi quando mostra il suo magnifico piumaggio. Nella mitologia greca è chiamato “uccello di Era”. Si racconta che la dea dispiaciuta per l’uccisione di Argo, il suo guardiano dai cento occhi, pose i suoi occhi sulla coda del pavone. Da allora divenne il suo animale sacro che aveva il compito di accompagnare le anime nell’aldilà.
In epoca romana il pavone fu un simbolo importante di morte e di resurrezione, di bene e di male. Questa associazione è dovuta al fatto che esso perde le penne in autunno e le rimette in primavera senza contare che le piume cadute non si consumano o pèrdono la loro naturale lucentezza. Questo legame con la resurrezione è stato trasfigurato nell’arte. I primi cristiani lo usavano per decorare con sculture o con affreschi le pareti delle catacombe, ad illustrare la loro fede nella rinascita di Cristo. Spesso troviamo una coppia di pavoni, l’uno rappresentante la vita e l’altro la morte intenti a bere dalla coppa eucaristica, la fonte della vita eterna, o li ritroviamo nell’Annunciazione e nelle scene della Natività dipinti vicino alla figura del bambino.
L’arte paleocristiana è ricca di raffigurazioni del pavone
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