Cum-cum, la truffa da 63 miliardi di euro. Un’inchiesta ha svelato i meccanismi usati da banche e grandi gruppi per frodare le tasse in tutta Europa
Cum-cum, la truffa al fisco da 63 miliardi di euro. La vista dalla suite al 37esimo piano dell’hotel Shangri-La, ai piani alti dell’iconico grattacielo The Shard, abbraccia tutta Londra. In questo nido d’aquila, lontano dal caos delle strade giù in basso, due giornalisti sotto copertura aspettano la conferma finale dell’esistenza di una truffa pan-europea che stanno investigando da mesi. È il 7 di agosto di quest’anno, e l’insolita calura dell’estate inglese è a malapena mitigata dall’aria condizionata. I giornalisti, che si fingono miliardari in cerca di “sistemi di ottimizzazione fiscale”, sono qui per farsi spiegare da un trader come sottrarre milioni al fisco di tutta Europa.
L’inchiesta rivela la più grande frode fiscale mai perpetrata in Europa. Il sistema non è nuovo. Si è diffuso a partire dagli anni ‘90, con l’introduzione delle convenzioni contro le doppie imposizioni e permette di eludere del tutto la tassazione sui dividendi.
L’Italia è stata la prima ad accorgersi che qualcosa non andava. Già nel 2007 la Procura di Pescara con l’indagine “Easy Credit” aveva scoperto un tentativo di frode per la cifra colossale di quattro miliardi e mezzo di euro, messo in atto da grandi gruppi bancari internazionali tra cui Goldman Sachs, Merrill Lynch, BNP Paribas e diversi fondi pensione inglesi e francesi.
Nonostante il pronto intervento della nostra magistratura, i truffatori non si sono persi d’animo. Hanno raffinato le loro tecniche, e ricominciato a saccheggiare altri paesi. Il danno complessivo è difficile da accertare, ma una stima conservativa lo attesta a 63 miliardi di euro, di truffa tentata o compiuta.
I principali artefici di questo sistema sostengono ancora di essersi mossi nei confini della legge, ma i tribunali di Colonia, Francoforte e Copenhagen stanno indagando centinaia di persone e banche per truffa e evasione fiscale, molte delle quali sono le stesse che erano finite sotto la lente della giustizia italiana.
Il meccansimo
Il principio alla base della truffa è semplice, basta avere a disposizione centinaia di milioni di euro per fare incetta di azioni di aziende quotate in borsa, per poi “restituirle” dopo pochi giorni. Il tempismo è chiave, bisogna agire a cavallo del pagamento dei dividendi. In Italia questi guadagni sono tassati, al 26%. I soggetti residenti all’estero però, possono chiedere il rimborso di questa tassa. Ed è qui che, in alcuni casi, scatta la truffa.
Il meccanismo può assumere moltissime forme diverse, ma in generale rientra in due filoni principali, detti in latino “cum-cum” oppure “cum-ex“. Il primo, quello rilevato dalla Procura di Pescara, assomiglia più a una forma di elusione: basta “prestare” le azioni, con un contratto di short loan, ad un complice residente all’estero per poter chiedere il rimborso o l’esenzione dell’imposta. Un profitto notevole, privo di rischi, ottenuto con poche ore di lavoro.
Ma a furia di operare con il metodo cum-cum, i trader hanno scoperto una struttura più raffinata, più redditizia, e decisamente più aggressiva: il cum-ex.
È un sistema basato sull’acquisto in opzione dei pacchetti azionari, sempre pochi giorni prima del pagamento dei dividendi. In molti paesi europei l’opzione d’acquisto viene interpretata dal fisco come una proprietà a tutti gli effetti, e automaticamente le tasse vengono rimborsate a chi ne ha diritto, compresi i proprietari dell’opzione. Basta fare molte opzioni sulle stesse azioni, e si riesce ad incassare altrettante volte.
L’Italia è rimasta relativamente protetta dal secondo e più aggressivo tipo di truffa per due motivi principali: il primo è che, al contrario di altri paesi, i rimborsi non sono automatici, e possono richiedere anche molti anni per essere pagati. Il secondo motivo è il successo dell’indagine Easy Credit della Procura di Pescara, che in quegli anni istigò un vero e proprio terrore nei trader internazionali specializzati in cum-ex e cum-cum.
Il racconto
A confessarlo è un whistleblower di Colonia, uno dei testimoni chiave dei magistrati tedeschi. Si tratta di un avvocato che per anni ha lavorato fianco a fianco con i più abili operatori del settore. “Le banche erano molto spaventate. L’Italia aveva dichiarato illegali le operazioni cum-cum, hanno fatto arresti, minacciato di mandare in galera i direttori delle banche. Alla fine si è raggiunto un accordo: sono stati restituiti i rimborsi e il caso è stato archiviato. C’è ancora un mercato molto attivo per le operazioni cum-cum”.
Questo tipo di truffa è infatti estremamente difficile da decifrare. Quando sul tavolo del procuratore Giampiero Di Florio, che guida la Procura di Vasto, è arrivato il fascicolo compilato dalla Guardia di Finanza di Roma con migliaia di richieste di rimborso da analizzare, il primo problema è stato esattamente come portare avanti le indagini. “Abbiamo dovuto inventare un modello investigativo ad hoc”, spiega. “Il periodo che abbiamo preso in esame era dal 1991 al 2003, e per tutti quegli anni nessuno se ne era accorto”.
Alla fine lo schema criminale emerse dall’analisi dei movimenti delle azioni. “Abbiamo visto come le banche coinvolte per 11 mesi l’anno non avessero neppure un’azione delle aziende italiane, intorno al giorno del pagamento del dividendo però improvvisamente c’era un picco di acquisti, che subito dopo venivano restituite. Un meccanismo assolutamente fuori dalla logica di mercato”.
Accusate di truffa, le banche hanno subito scelto di restituire il maltolto; molte delle transazioni analizzare rischiavano la prescrizione, e i pm hanno scelto di concentrarsi piuttosto sul recuperare i fondi sottratti allo Stato.
I numeri dell’indagine sono impressionanti. Ognuna delle banche coinvolte aveva avanzato richieste di rimborsi per centinaia di milioni, e parzialmente avevano già riscosso, quando la festa è stata interrotta dalla giustizia italiana. Purtroppo i risultati non sono stati utilizzati nel resto d’Europa, e gli operatori hanno semplicemente scelto di lasciar stare l’Italia, almeno per un po’.
I risultati di Easy Credit hanno anche portato a un inasprimento dei controlli, e a proposte di legge per rendere più difficile questo tipo di truffe. Le richieste di rimborso che arrivano all’Agenzia delle Entrate sono oggi calate drasticamente, ma potrebbe essere solo un cambio di strategia.
La truffa va avanti, anche in Italia
E il whistleblower racconta che la truffa continua, come conferma anche ciò che i giornalisti sotto copertura hanno raccolto a Londra. Durante quel negoziato, i finti miliardari tedeschi chiedono massima discrezione e minimo rischio. Il trader li rassicura, e mostra con orgoglio i risultati delle sue operazioni nel 2018. Quasi cinquanta milioni di profitto, tutti ottenuti con operazioni di cum-cum di nuova generazione, adattati ai tempi e alle contromisure messe in atto dai paesi europei. I principali mercati colpiti? La Francia al primo posto, dove può vantare circa 22 milioni di profitto, e poi l’Italia, con poco più di 10 milioni.
“È tutto neutrale rispetto al mercato?”, chiedono i giornalisti sotto copertura. “Si, tutto neutrale” risponde il trader. Come nel caso scoperto dai procuratori di Pescara, non c’è nessuna logica di tipo finanziaria dietro la proposta fatta e il guadagno non dipende dall’andamento di mercato. Ma i giornalisti vogliono sentirselo dire in modo ancora più chiaro: “Diciamolo chiaramente, i profitti vengono dai soldi delle tasse?”. “Naturalmente”, risponde il trader con un ghigno.
Fonte: repubblica.it