Coronavirus, chi sono i pazienti a rischio: età, sesso e sintomi

L’Istituto Superiore di Sanità ha definito l’identikit delle persone più esposte a Covid-19 in base ai dati sui pazienti deceduti

Coronavirus, chi sono i pazienti a rischio: età, sesso e sintomi
Coronavirus, chi sono i pazienti a rischio. L’Istituto Superiore di Sanità ha stilato un report aggiornato delle vittime di Covid-19. Le morti legate all’infezione dal nuovo coronavirus hanno permesso all’ente di creare un identik delle persone più a rischio. Sono state prese in analisi tutti i 3.200 decessi di pazienti positivi che sono stati confermati dall’Iss al 20 marzo 2020.

Coronavirus: età media e sesso dei pazienti positivi deceduti

L’età media dei pazienti contagiati da Covid-19 e deceduti è di 78,5 anni. La vittima più giovane aveva 31 anni, la più anziana 103. In circa un terzo dei 3.200 decessi, cioè 942 casi (il 29,4%), il paziente era una donna. Sembrerebbero quindi più a rischio gli uomini.

Chi è morto aveva oltre 15 anni in più rispetto ai chi è stato contagiato, con un’età mediana di 80 anni nel primo caso e 63 nel secondo. Le donne decedute erano più anziane degli uomini, con età mediane rispettivamente di 82 e 79 anni.

Solo in 36 dei 3.200 casi di morte legata al nuovo coronavirus (l’1,1%), i pazienti avevano un’età inferiore ai 50 anni. Di questi 9 avevano tra i 31 e i 39 anni, 8 uomini e una donna. Tutti e 7 i casi under-30 di cui si hanno informazioni cliniche avevano patologie pregresse, di tipo cardiovascolare, renale, psichiatrico, e diabete e obesità.

Coronavirus: che patologie pre-esistenti avevano le vittime

Per il 15% del campione complessivo, cioè 481 casi, è stato possibile risalire alle patologie croniche pre-esistenti, ovvero diagnosticate prima di contrarre l’infezione del Sars-Cov-2. Quasi la metà (il 48,6%) dei pazienti presi in esame aveva 3 o più malattie pregresse, un quarto (il 26,6%) ne aveva 2, quasi la totalità dei rimanenti (il 23,5%) ne aveva una. Nessun quadro clinico particolare è stato invece riscontrato in 6 pazienti (1,2%).

Le patologie pregresse più comuni dei 481 pazienti affetti da Covid-19 deceduti e di cui si conosce il passato clinico sono ipertensione arteriosa (355 diagnosi), diabete mellito (163), cardiopatia ischemica (145), fibrillazione atriale (106), insufficienza renale cronica (97), cancro attivo negli ultimi 5 anni (94), bpco – broncopneumopatia cronica ostruttiva (66), demenza (57), ictus (54), epatopatia cronica (18).

Coronavirus: quali sono i sintomi e le complicanze più comuni

I sintomi più comunemente osservati prima del ricovero nei pazienti le cui morti sono legate a Covid-19, sono stati febbre (nel 76% dei casi), difficoltà a respirare e dispnea (73%), tosse (40%), diarrea (8%) e presenza di sangue nelle vie respiratorie (1%).

La complicanza con maggiore incidenza è stata l’insufficienza respiratoria (96,5%), seguita da danno renale acuto (29,2%), danno miocardico acuto (10,4%) e sovrainfezione (8,5%).

Coronavirus: dopo quanto tempo si muore dopo il ricovero

Dall’insorgenza dei sintomi al decesso sono passati mediamente 8 giorni, dall’insorgenza dei sintomi al ricovero in ospedale 4 giorni e altrettanti dal ricovero al decesso. Il tempo trascorso dall’accettazione nei nosocomi e la morte è risultato di 1 giorno più lungo per coloro che sono stati trasferiti in rianimazione e terapia intensiva rispetto a chi è rimasto in altri reparti.

Coronavirus: farmaci e terapie dei pazienti deceduti

Durante il ricovero, la maggior parte dei pazienti deceduti positivi al nuovo coronavirus assumeva terapia antibiotica (84% dei casi). Meno utilizzate la terapia antivirale (54%) e la terapia steroidea (31%). In un quinto dei casi (il 18,6%), sono state utilizzate tutte e 3 le terapie insieme.

Il numero così elevato di pazienti sotto antibiotici è motivato con la presenza di sovrainfezioni e con i buoni risultati empirici sui pazienti con polmonite, in attesa di conferme sull’efficacia di altre terapie per la cura della Covid-19.

Prima del ricovero in ospedale, diversi pazienti deceduti seguivano una terapia con Ace-inibitori (nel 36% dei casi) o con sartani che bloccano il recettore per l’angiotensina (16%).

Questo dato potrebbe tuttavia essere sottostimato perché non sempre dalle cartelle cliniche è stato possibile evincere a quali terapie si fossero sottoposti i pazienti prima del ricovero.

Fonte: notizie.virgilio.it

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FonteUfficiale.com