Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee

Jeffrey Dahmer è stato un serial killer, noto come “il mostro di Milwaukee”. Commise 17 omicidi

Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee

Biografia

Jeffrey Dahmer è nato il 21 maggio del 1960 in Milwaukee, Wisconsin (Stati Uniti). A 6 anni, poi, la famiglia si trasferisce in Ohio.

All’età di 8 anni venne molestato sessualmente da un vicino di casa. Dahmer non raccontò a nessuno questo episodio, fino al giorno del processo. Per capire, però, perché sia diventato un mostro bisogna tenere conto anche l’ambiente familiare in cui è cresciuto. La sua famiglia era di ceto medio borghese, formata da genitori che litigavano continuamente, anche violentemente, creando una situazione ambientale molto difficile. Il padre, per evitare i continui litigi con la moglie, iniziò a rimanere fuori casa per andare a bere con gli amici. Quel poco di tempo a casa lo passava da ubriaco. La madre, invece, costantemente depressa, trascorreva le giornate, comprese quelle in cui era incinta di Jeffrey, a prendere pillole per cercare di guarire dalla sua malattia immaginaria.

Durante la gravidanza la fobia peggiorò. A causa delle continue emorragie, mal di testa e ipersensibilità verso odori e rumori, si convinse di essere malata gravemente e arrivò ad assumere decine e decine di pillole in una singola giornata. A nulla valsero gli sforzi dei medici per convincerla a curare la sua nevrosi acuta (dovuta anche al fatto che inconsciamente non desiderava la gravidanza). Con la nascita di Jeffrey le cose non migliorano. E anzi dopo aver avuto il secondo figlio, la depressione della donna peggiorò e si arrivò al divorzio. Seguì una lunga causa legale per l’affidamento del figlio minore, che la donna portò via con sé, abbandonando in casa Jeffrey solo e senza cibo.

Jeffrey venne trovato dal padre, due giorni dopo l’abbandono, seduto in mezzo a un pentagramma disegnato con il gesso sul pavimento della sua cameretta. Dahmer, in stato di choc, completamente assente, aveva cercato di fare una seduta spiritica per poter parlare con i morti.

Gli Omicidi

Dahmer compì il primo omicidio all’età di 18 anni (era il 1978). Fece salire in auto un autostoppista di nome Steven Hicks (19 anni), si intrattenne con lui per un poco, fino a convincerlo a seguirlo a casa. Bevettero birra e fecero sesso. Quando Steven disse di voler andar via, Dahmer (forse a causa di una forte sensazione di abbandono) scatenò tutta la sua rabbia sul malcapitato. Lo colpì in testa, stordendolo, per poi strangolarlo a morte. Fece, poi, a pezzi il corpo del ragazzo e lo seppellì in giardino in diverse buste di plastica.

Forse colto dal rimorso (o dalla paura di essere scoperto) si arruolò volontario nell’esercito e venne mandato in una base U.S.A. in Germania. La sua carriera durò circa due anni, fino a quando non venne espulso con disonore a causa di ripetuti episodi di alcolismo molesto.

Rientrato in America si stabilì in Florida per qualche tempo, per poi tornare a casa, dove, prudentemente, disseppellì i resti del povero autostoppista per sciogliere quello che ne rimaneva nell’acido e spezzettare le ossa per spargerle nei boschi.

L’alcolismo lo rese intrattabile e maleducato, così, nel 1982, il padre decise di mandarlo a vivere con la nonna, a West Allis, nel Wisconsin, ma la situazione non cambiò. Venne quasi subito arrestato per atti osceni in luogo pubblico durante una fiera di paese. La cosa si ripeté 4 anni più tardi: venne condannato a un anno di reclusione (mai scontato per l’obbligo di frequentare una clinica psichiatrica).

Questa sua libertà gli consentì di uccidere nel 1987 la sua seconda vittima. Questa volta lo fece in una camera d’albergo. Dahmer raccontò di essersi svegliato a fianco di Steven Tuomi (24 anni), morto e con la bocca piena di sangue. Così, dopo aver acquistato una grossa valigia, trasportò il cadavere fino alla cantina di sua nonna. Qui lo violentò ripetutamente, per poi farlo a pezzi e gettarlo tra i rifiuti.

Tra il gennaio 1988 e il marzo dello stesso anno, uccise James Doxtator (14 anni) e Richard Guerriero (23 anni), entrambi con le stesse modalità: li drogò, li violentò, li uccise, li fece a pezzi ed eliminò i corpi nell’acido.

A causa del suo comportamento e dei suoi continui e “rumorosi festini“, la nonna lo cacciò di casa. Così, nel settembre 1988, tornò a Milwaukee e andò a vivere nella parte nord della città in un appartamento sulla 25sima Strada (che diventerà famoso come “il mattatoio”). Prima di essere mandato via da sua nonna, però, Dahmer uccise altre 2 volte.

Il giorno successivo al trasloco, venne nuovamente arrestato per molestie sessuali: con la scusa di fare qualche foto, portò un ragazzino di 15 anni nel suo appartamento, ma scoppiò una furiosa lite. I vicini, sentendo lo strano trambusto, chiamarono la polizia. Venne condannato nel gennaio del 1989 e poi rilasciato fino alla sentenza esecutiva nel maggio dello stesso anno. Mentre era in attesa della sentenza, nel marzo del 1989, tornò all’opera, questa volta uccidendo Anthony Sears (26 anni). Venne rilasciato dopo 10 mesi di prigione per buona condotta.

Nel giugno del 1990 iniziò un’escalation di omicidi. Arrivò ad uccidere una volta alla settimana. A giugno uccise Edward Smith (27 anni), mentre a luglio fu la volta di Raymond Smith (33 anni). A settembre uccise David Thomas (23 anni) e Ernest Miller (22 anni). Nel febbraio del 1991 uccise Curtis Straughter (19 anni), poi Errol Lindsey (19 anni) nell’aprile dello stesso anno e Anthony Hughes (31 anni), un mese dopo.

Sempre a maggio uccise Konerak Sinthasomphone (14 anni) e a consegnare la vittima a Dahmer fu proprio la polizia. Konerak riuscì a liberarsi dopo le torture e si rifugiò dalla polizia, cui raccontò tutto. Jeffrey, però, convinse gli agenti del fatto che il ragazzo era il suo amante e che, a seguito di una litigata tra innamorati, aveva inventato ogni cosa per fargli un dispetto e metterlo nei guai. Il giovane, a causa delle droghe che Dahmer gli aveva iniettato prima della fuga, fece fatica a difendersi. Così, le forze dell’ordine, non volendosi immischiare nelle vicende di due omosessuali, riconsegnarono Konerak a Dahmer, che lo riportò nel suo appartamento per finire il lavoro. Quando si venne a sapere di questo fatto, durante il processo, la polizia di Milwaukee provvide ad espellere i poliziotti.

Anche dopo essere stato vicino alla cattura Dahmer non si fermò. A giugno uccise Matt Turner (20 anni), seguito da Jeremiah Weinberg (23 anni) a luglio, e da Oliver Lacy (23 anni) solo 8 giorni dopo.

Il 19 luglio del 1991 il “mostro di Milwaukee” uccise la sua ultima vittima: Joseph Brandehoft (25 anni).

Tre giorni dopo tentò di uccidere Tracy Edward (32 anni), ma quest’ultimo, approfittando di un suo momento di disattenzione, riuscì a fuggire e ad avvisare la polizia.

Processo e condanna

Durante il processo, vennero fuori gli orrori. Dahmer non era solo solito ammazzare e fare a pezzi le sue vittime, ma anche, dopo averle violentate, mangiarle.

Fatte a pezzi, teneva come souvenir parti dei corpi (come i genitali e le mani) mentre per le teste aveva un’altra procedura. Alcune venivano tenute in frigorifero o sotto spirito, mentre altre venivano fatte bollire per un giorno intero fino a che la carne non si staccava dal teschio. Il teschio veniva, poi, cerato e dipinto per diventare un soprammobile. Le parti del corpo che non mangiava (o che teneva come ricordo) le scioglieva in grossi bidoni pieni d’acido. Provvedeva anche ad effettuare un completo e dettagliato servizio fotografico dei cadaveri e delle loro parti.

Vennero fuori anche le modalità con cui Dahmer uccideva. Cercava di creare quello che chiamava il suo “schiavo sessuale“. Per fare questo stordiva le vittime con l’alcol, per poi somministrare svariati tipi di droghe. Arrivò a fare esperimenti sulle sue vittime ancora vive. Iniettava nei lobi temporali acido muriatico alternato ad alcool etilico, nel tentativo di annullare completamente la personalità degli individui e contemporaneamente lasciare vivi i corpi, affinché assolvessero al loro compito. Le persone morivano qualche ora dopo, o al massimo duravano un paio di giorni.

Secondi i medici che lo ebbero in cura, Dahmer non era un serial killer come gli altri. Soffriva di diversi disturbi, tutti di carattere sessuale, ma soprattutto non era metodico o riservato. A differenza degli altri assassini seriali, era plateale nella sua ubriachezza molesta e nella sua scontrosità con il prossimo. Cercava le sue vittime in luoghi pubblici ed equivoci. Era stato più volte arrestato per atti osceni e molestie sessuali. Altra cosa che lo rendeva unico, le vittime: a parte un asiatico e un ispanico, erano tutte di colore, cosa molto strana perché il profilo tipico di un serial killer prevede come vittima una persona della sua stessa etnia.

Dahmer, seduto nelle aule di tribunale, mentre venivano elencati i sui crimini senza tralasciare nessun particolare sul suo operato, era quasi assente e non fece mai trasparire nessuna emozione, nemmeno di fronte allo strazio dei parenti, nemmeno quando cercarono di aggredirlo davanti al giudice.

Parlò una sola volta in tribunale, poco prima che la giuria si riunisse per decidere la sentenza: “Vostro Onore, è finita. Non ho mai cercato di essere liberato. Francamente volevo la morte per me stesso. Voglio dire al mondo che non l’ho fatto per odio. Non ho mai odiato nessuno. Sapevo di essere malato, cattivo o entrambe le cose. Adesso credo d’essere veramente malato. Il dottore mi ha parlato della mia malattia e di quanto male ho causato. Ho fatto del mio meglio per fare ammenda dopo il mio arresto, ma non importa, non posso eliminare così il terribile male che ho causato. Vi ringrazio Vostro Onore, sono pronto per la vostra sentenza, che sono sicuro sarà il massimo. Non chiedo attenuanti, ma per piacere dite al mondo che mi dispiace per quello che ho fatto“.

Venne condannato a 15 ergastoli perché nello Stato del Wisconsin non vige la pena capitale, ma la sua condanna a morte venne ugualmente eseguita due anni più tardi. Infatti, nel novembre del 1994, venne ucciso in prigione da Christopher Scarver, uno psicotico in carcere per aver ucciso la moglie: gli fracassò il cranio perché convinto che Dio gli avesse dato il compito di punirlo.

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FonteUfficiale.com